Le 90 piattaforme attive di crowdfunding hanno raccolto 430,60 milioni di euro (+27%). Chi può ricorrere alla raccolta di capitali di rischio tramite portali on-line?
Tutto ha inizio con la fortuita intuizione di una band britannica. La nascita del crowdfunding, letteralmente “finanziamento dalla folla”, coincide con la raccolta di fondi online avviata dai Marillion nel 1997, per sostenere le spese del loro tour in Nord America. Il termine crowdfunding, così come lo conosciamo oggi, venne coniato nel 2006, ma fu Barack Obama, nel 2008, a rendere celebre la pratica a livello mondiale, finanziando la sua campagna elettorale tramite il crowdfunding.
La versione moderna e innovativa dell’antica colletta, ha innescato una rivoluzione a nove zeri. Il mercato globale del crowdfunding vale attualmente 1,25 mld di dollari. Le prospettive future delineano scenari anche più floridi: 1,41 mld di dollari nel 2023, toccando quota 3,62 mld di dollari entro il 2030 (fonte: Fortune Business Insights, società di studi e ricerche di mercato a livello globale).
“E’ necessaria una precisazione. Quando il crowdfunding viene utilizzato per raccogliere risorse finanziarie da parte di un’impresa o di una persona fisica destinate a investimenti ed è prevista una remunerazione del capitale investito, si parla di crowdinvesting”, spiega Luca Bonati, Dottore Commercialista e Revisore Legale, Partner dello Studio Bonati. “Questo può avvenire tramite l’offerta di un prestito (modello lending-based) o sottoscrivendo quote del capitale di rischio di una società (modello equity-based). L’elemento chiave è una piattaforma abilitante che attraverso internet metta in contatto impresa e investitore, e finalizza l’investimento”.
Secondo gli ultimi dati, gli Stati Uniti sono il Paese con il più alto valore transazionale con 504 mln di dollari. La campagna di crowdfunding di maggior successo è proprio di un’azienda americana. Cloud Imperium Games, infatti, nel 2017 ha raccolto 34.91 milioni di dollari per finanziare Star Citizen, gioco di simulazione spaziale.
Che in America il crowdfunding goda di buona salute è chiaro, ma com’è la situazione a casa nostra? “Il crowdfunding in Italia vive una fase positiva – afferma Bonati – come mostra il 7° Report italiano sul Crowdinvesting, redatto dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, nell’ultimo anno, le 90 piattaforme attive, hanno registrato una crescita del 27%, pari a 430,60 milioni di euro e una raccolta complessiva di 1.129.80 milioni di euro a partire dal 2014, sebbene alcuni settori abbiano mostrato delle inflessioni.
La raccolta annuale per l’equity crowdfunding (raccolta di capitali), è stata di 97,79 milioni di euro per progetti non immobiliari, 44,10 milioni di euro in campo immobiliare. La crescita più significativa l’ha avuta il segmento dei mini bond con 37 milioni di euro (+68,7%). Un balzo in avanti anche per prestiti tra persone fisiche, raggiungendo 65,5 milioni di euro (+51,7%). Molto bene anche i prestiti per progetti immobiliari, con 83,15 milioni di euro (+ 56,7%). Il settore immobiliare, sebbene relativamente giovane nel panorama del crowdfunding italiano, è in costante ascesa”.
Emerge dunque la fotografia di un settore in espansione, nonostante piccole battute di arresto. Quali sono i settori che prospettano maggiori guadagni?
“Il crowdfunding immobiliare è un segmento in grande espansione – afferma Bonati –
la crescita avuta nell’ultimo anno, come riportato dal Report del Politecnico di Milano,
dimostra gli ampi sviluppi e grandi margini di crescita del settore.
In linea generale Il trend prevalente è senza dubbio il mondo retail – spiega Bonati – in quanto è più facile ed immediato stimolare l’interesse dell’investitore (privato persona fisica) che a sua volta potrà essere un domani anche cliente della società e fruitore del servizio. I settori che continuano a macinare grandi numeri ed interessi da parte degli investitori rimangono il tech e il food, quest’ultimo in grandissima ascesa nel corso dell’ultimo triennio in termini di proposte e raccolte”.
Ma chi può ricorrere alla raccolta di capitali di rischio tramite portali on-line?
“Le piccole e medie imprese che soddisfino almeno due dei tre criteri seguenti, come stabilito dal regolamento UE n. 1129/2017: un numero medio di dipendenti inferiore a 250; lo stato patrimoniale non superiore a 43.000.000 di euro, e il fatturato netto annuale non oltre i 50.000.000 di euro – spiega Bonati – nelle PMI rientrano anche società start-up innovativa, la piccola e media impresa innovativa, l’organismo di investimento collettivo del risparmio, “OICR”, e le società di capitali che investono prevalentemente in piccole e medie imprese”.
“Per accedere a questo strumento di raccolta di capitali, sono necessari un Business Plan, ben redatto e contenente sia informazioni di carattere quantitativo che di carattere qualitativo, a supporto dei numeri e sufficientemente robuste da convincere i potenziali investitori; una captable (tabella che illustra la divisione delle quote tra i soci di una società); valutazione pre-money e la delibera dell’assemblea straordinaria di aumento di capitale redatta alla presenza di un Notaio”.
Quali sono gli aspetti da tener presenti quando si avvia una raccolta di capitali?
“Consiglio di adottare tre strategie che accompagnino la raccolta: in prima battuta è necessario avviare una buona attività di comunicazione che spieghi, secondo il rispetto delle norme vigenti, il progetto di raccolta e il settore di riferimento. In secondo luogo, suggerisco una reward policy, ossia delle premialità ulteriori che vengono assegnate ai sottoscrittori del crowdfunding”.
“Possono essere di tre tipologie: reward finanziario, omaggiare l’investitore di un pacchetto ulteriore di quote della società; reward esperienziale, a esempio una società di abbigliamento, che sta facendo una attività di raccolta, invita l’investitore nella fabbrica a vedere come vengono fatte le magliette o lo omaggia del prodotto, reward di prodotto. Infine, si rende necessario sin da subito definire in modo chiaro la Exit Strategy degli investitori, ossia in che modo essi potranno uscire ed effettivamente aver remunerato il proprio investimento iniziale”, conclude Bonati.
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