In “Na santarella” protagonista è una donna che è “angelo e diavula”, timida e timorata di Dio, ma anche intimamente estrosa e ribelle
Massimo De Matteo protagonista al Teatro Augusteo (Napoli, Piazzetta duca d’Aosta 263) in “‘Na santarella” di Eduardo Scarpetta, con adattamento e regia di Claudio Di Palma. Debutto nazionale venerdì 2 febbraio, in scena fino a domenica 11. Sul palco anche Giovanni Allocca, Chiara Baffi, Marika De Chiara, Angela De Matteo, Carlo Di Maro, Luciano Giugliano, Valentina Martiniello, Peppe Miale, Sabrina Nastri, Federico Siano.
Scene di Luigi Ferrigno, costumi di Annamaria Morelli, musiche di Paolo Coletta. Produzione Ente Teatro Cronaca – Sgat – Teatro Augusteo.
Dopo il successo de Il medico dei pazzi, Claudio Di Palma e Massimo De Matteo si misurano ancora con la comicità senza tempo di Eduardo Scarpetta. In ‘Na santarella protagonista è una donna – interpretata da Angela De Matteo – che è “angelo e diavula”, timida e timorata di Dio, ma anche intimamente estrosa e ribelle. Le sue pulsioni latenti diventano l’occasione per svelare dissonanze interiori e contraddizioni che animano tutti i personaggi dell’opera, rivelandosi assai più diffuse di quanto si pensi.
«La Santarella?! Che angelo di figlia! Ma pure Chesta nun è na femmena, è na diavula». Due pronunciamenti così contrastanti sulle virtù e i vizi di un’unica persona ci dicono, fra le altre cose, che Scarpetta ha inteso eleggere la sua Santarella a simbolo di emblematico dualismo comportamentale. Una donna timida e timorata di Dio, ma anche intimamente estrosa, ribelle e volitiva.
Le pulsioni latenti di questa femmena, che è “angelo e diavula”, per Scarpetta sono anche l’occasione per svelare bipolarismi caratteriali assai più diffusi. Emblema e cardine di infingimenti e contraddizioni varie è naturalmente il Felice ‘di turno’, per l’occasione in abiti di musicista compositore. Intorno ai due, l’autore costruisce una rete di umanissimi e anomali figuri, tutti alle prese con dissonanze interiori mal risolte, con vizi, ipocrisie e ambizioni nascoste a malapena.
Tutti con indosso vesti di convenienza che mistificano le identità e tutti capaci di trovare soluzioni alle proprie nevrosi negli stessi equivoci prodotti. Per questo non nasce dramma, neppure di fronte a spiazzanti fratture psichiche: il teatro di Scarpetta, implicitamente sensibile agli sdoppiamenti che il Novecento insinuerà anche negli uomini semplici, si occupa del ribaltamento categorico del dramma, ossia la comicità.
In questo senso la costruzione è perfetta e nella nostra lettura trova collocazione più opportuna proprio nel teatro, inteso come spazio dell’azione in cui i desideri, le vanità o certe perniciosità umorali possono immaginare plausibili e creative realizzazioni o terapeutiche risolutive elaborazioni. Nella nostra scena dunque solo il teatro, che sia quello da parrocchia o quello più ufficiale d’opera, il teatro nudo e solenne, che anche fra le quinte riservi sorprese esilaranti, sappia nascondere o rivelare trucchi e ambiguità, possa concedere epiloghi inattesi.
Un teatro che ripari le ipocrisie e i disturbi dissociativi dei suoi protagonisti nell’irresistibile e cinica drammaturgia che Scarpetta tipizza con impareggiabile e consapevole ironia.